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Un classico, ha scritto Italo Calvino, non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Cosa ci dicono, oggi, questi due saggi di Susan Sontag, intensissimi e intrepidi come da sua cifra, pubblicati per la prima volta nel 1978 e nel 1989? Che la malattia, nonostante l'illusione di oggettivit? che l'Occidente "scientifico" tende a coltivare, non ? percepita n? concepita secondo le sue coordinate reali, ma ? una costruzione culturale, profondamente connotata in senso metaforico. La malattia non parla di se stessa, perch? la facciamo sempre parlare di altro, attraverso il linguaggio figurato con cui la bardiamo nella comunicazione e nell'immaginazione. E poich? "? quasi impossibile prendere residenza nel regno dei malati senza lasciarsi influenzare dalle sinistre metafore architettate per descriverne il paesaggio", ? in primo luogo ai malati che dobbiamo una resistenza e una liberazione dal cascame di queste metafore, particolarmente pericolose nel caso di malattie epocali, mitizzate (e mistificate) come "predatori malvagi e invincibili": il cancro e le epidemie infettive (peste, tbc, sifilide, Aids, e altre che potremmo aggiungere a partire dal presente). "Nel tentativo di comprendere il male 'radicale' o 'assoluto', andiamo alla ricerca di metafore adeguate", ma ? solo togliendo potere a queste appropriazioni retoriche, afferma Sontag, che possiamo conoscere pi? a fondo la realt? della malattia e affrontarla con la necessaria consapevolezza.画面が切り替わりますので、しばらくお待ち下さい。
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