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Il miglior attestato di quanto sia vitale la psicologia del profondo junghiana ? la sua generativit?, nel pensiero come nella pratica terapeutica. Dall’apertura di credito nei confronti dell’inconscio, dalla rinuncia alle pretese egemoniche dell’Io sulla psiche e dal ridimensionamento del valore di verit? delle dottrine scaturisce l’incessante drammaturgia in cui, ogni volta, si declina la radicale fenomenicit? dell’analisi. La popolano ? con la concretezza di esseri viventi ? sogni, figure archetipiche, immagini, simboli. Nell’impervio paesaggio della loro feconda discordia e della loro segreta solidariet? s'inoltra Augusto Romano, esplorando via via la terra di mezzo tra teoria ed esperienza clinica. E solidale con l’oggetto ? anche lo stile, che sa esporsi all’inquietudine senza rinunciare a una finezza inconsueta nella letteratura analitica. Non a caso Romano si confronta, da sottile analogista, con le retoriche che reggono il teatro intrapsichico e la scena della cura, a partire dall’≪acuta follia≫ dell’ossimoro, e assimila suggestivamente il lavoro del terapeuta al fare poetico: espressioni entrambi di somma artigianalit?, essi rompono l’ordine rassicurante del discorso e additano la possibilit? di sensi ulteriori. Ed ? l’esigenza di senso, sempre suscettibile di scacco, che trapela dal rovello del ≪prigioniero≫ nella poesia di Montale che d? il titolo al libro: ≪ancora ignoro se sar? al festino / farcitore o farcito≫.画面が切り替わりますので、しばらくお待ち下さい。
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